Santu Lussurgiu

notturno SantuArrivando dalla provinciale che da Bonarcado porta verso Sos Molinos, dove nasce la celebre cascata, il viaggiatore è avvolto dalla aria salubre e fresca tipica della montagna. E infatti lasciandosi alle spalle il clima rovente del Campidano di Milis si entra tra sinuosi tornanti nel territorio di Santu Lussurgiu, sferzato per buona parte dell’anno da freschi venti di maestrale. L’ingresso è scenografico: il paese si apre ad anfiteatro accogliendo il visitatore nella bocca del suo antico cratere spento.


Il borgo è di origine medioevale, e mantiene intatto il suo incantevole centro storico, tutto a ciottoli realizzato da abili e laboriosi mastros de preda. Con le luci soffuse nelle serate d’autunno e d’inverno il centro storico regala suggestive atmosfere medioevali. La vita scorre tranquilla senza sussulti, ancorata alle antiche consuetudini della vita contadina, entro cui la comunità si è formata e ha appreso l’arte del saper fare. Santu Lussurgiu è conosciuta in tutta l’Isola per la maestria dei suoi artigiani, falegnami, intagliatori, fabbri, coltellinai, calzolai, e distillatori di vino, ma è in particolare una la passione più smodata dei Lussurgesi: il cavallo. L’allevamento del nobile animale perde la sua origine nella notte dei tempi, e nel corso dei secoli si è consolidato creando una vera e propria scuola, da cui sono usciti abili cavalieri e fantini distintisi nell’arte equestre. La balentia cavalleresca è messa in mostra durante il carnevale con la corsa sfrenata de Sa carrela ‘e nanti, la cui origine è antica e misteriosa. Quattrocento metri di strada sterrata e tortuosa nel centro del paese dove abili cavalieri mascherati uniti in pariglie di due e tre si sfidano a correre sfrontatamente tra ali di folla che si ritraggono al loro passaggio.

Paese a economia agropastorale annovera tra le produzioni alimentari tipiche il celebre Casizolu, formaggio di latte vaccino, e la carne del Bue Rosso, ottenuta dalla razza sardomodicana allevata allo stato brado in tutto il Montiferru. Entrambi presidi della fondazione Slow Food, sono tra le eccellenze enogastronomiche apprezzate ai quattro angoli dell’Isola.

Santu Lussurgiu è paese di cultura. Coltivata dai tempi della presenza degli Scolopi nella seconda metà dell’Ottocento con la scuola di retorica e latinità voluta dai filantropi lussurgesi Pietro Paolo Carta e Giovanni Andrea Meloni l’arte dell’insegnamento e della conoscenza si è irrobustita con i Salesiani nel Collegio di San Marco fino agli anni sessanta del Novecento, poi seguita dal Liceo Linguistico e Istituto Tecnico per il Turismo tra gli ottanta e novanta. Tra i suoi più illustri allievi Antonio Gramsci che si formò nel ginnasio lussurgese, esperienza propedeutica per la sua avventura torinese.

Dal passato al presente nel nome del canto gregoriano: il canto a cuncordu. Formato da quattro voci che eseguono il repertorio di tradizione liturgica e paraliturgica danno vita a un canto armonico, con equiparazione del ruolo delle parti vocali. Questa ricca tradizione di canto corale accompagna le sacre rappresentazioni della passione di Cristo durante la Settimana Santa.

Il pregevole museo della tecnologia contadina fondato nel 1976 dal Maestro Francesco Salis arricchisce l’offerta culturale lussurgese. Antichi strumenti, testimoni della civiltà preindustriale, le gualchiere e gli altri utensili della cultura contadina e domestica sono custoditi gelosamente nella casa padronale di una nobildonna dell’Ottocento: Raffaella Massidda. Entrare e visitare il Museo è come fare un tuffo nel passato, alla scoperta della vita quotidiana delle famiglie, dell’ingegno artigianale e del pragmatismo manuale dei Lussurgesi.  

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